Tra gli altri incontri significativi, si segnalerà quello con Giò Ponti, il quale aveva notato e apprezzato le quarantasei opere di Rosi accolte come personale alla Mostra del Disegno Italiano Contemporaneo, alla Pinacoteca di Brera (1942). Ne seguì l'invito a collaborare a "Lo Stile". Invero, nell'ampio arco di tempo della sua attività e in ragione anche della sua apertura alla critica d'arte, Rosi si legò d'amicizia con i maggiori esponenti dell'arte del suo tempo: Birolli, Carrà, Casorati, De Pisis, Guttuso, Levy, Maccari, Mafai, Morandi, Sassu, Severini, Sironi, Viani, Viviani e tanti altri come lui presenti nelle mostre d'arte italiana all'estero organizzate dalla Biennale di Venezia: Varsavia, Cracovia, Bucarest, Sofia, Lione, Vienna, Kosice, Kaunas, Praga, Monaco di Baviera. Berlino, Parigi e paesi dell'America Latina. Nel 1940 l'Accademia d'Italia gli conferì un premio riservato a giovani artisti italiani. Il governo francese gli assegnò nel 1950 una borsa di studio con soggiorno a Parigi, e nel 1951-1952 quello spagnolo una borsa di studio con soggiorno a Madrid. In quel periodo Rosi ricevette inoltre numerosi riconoscimenti in manifestazioni artistiche nazionali.
Nel 1940 sposa Giuseppina Boni e fissa definitivamente la residenza a Pisa, in via San Francesco, dove nel 1942 nascerà Giovanni, suo unico e amatissimo figlio. Dal 1950 si accinge a nuove esperienze, affrontando la lavorazione diretta del mosaico e della vetrata istoriata a gran fuoco e realizzando molte opere autografe di grandi dimensioni a carattere decorativo. Ad esempio nel transetto della chiesa romanica di Casole d'Elsa (Collegiata), su committenza della Soprintendenza ai monumenti di Siena; nelle absidi del Duomo e di San Michele in Borgo, a Pisa; nella chiesa parrocchiale di Larderello, su commissione del progettista, Giovanni Michelucci (La passione di Cristo). Ultima, la grande vetrata per il rosone della Cattedrale di Volterra, inaugurata nel 1990 e documentata nel volume L'occhio della Cattedrale di Volterra. Nel 1955 Rosi è stato vincitore del concorso nazionale indetto dalla Commissione Pontificia per l'Arte Sacra in Italia, per la realizzazione di un mosaico originale da destinare alla Chiesa Parrocchiale di Vitinia (Roma). Tra le altre numerose opere musive, notabile l'Allegoria delle Arti e dei Mestieri collocata alla Borsa Merci di Pisa.
Nel 1960 un tragico evento colpì la sua famiglia: la scomparsa improvvisa dell'unico figlio, Giovanni, appena diciottenne. Da quel momento la sua attività si rivolse unicamente alla scuola, all'educazione artistica dei giovani. Seguì un lungo periodo di silenzio e di meditazione sul suo lavoro di pittore. Nel 1978 riuscì a ritrovare la forza di riprendere a lavorare in campo pittorico. Fu un sorprendente ritorno da cui scaturì una nutrita serie di dipinti a pastello: paesaggi "ripresi" durante i suoi frequenti viaggi all'estero, particolarmente in Inghilterra, Galles, Scozia, dove nella stagione della colma maturità Rosi andava scoprendo un nuovo paesaggio, osservato attraverso il filtro formale di due grandi pittori: Turner e Constable, dalla cui luce attinse speranza alla propria visione rinnovata. Dal profondo di una sensibilità ridestata, un nuovo vigore espressivo rifluì nelle opere pervase di struggente nostalgia e contrassegnate da un esemplare rigore formale.
Mino Rosi è stato più volte invitato a ricoprire importanti incarichi istituzionali e ministeriali in qualità di esperto e componente di commissioni di studio per la riforma della istruzione artistica: membro di numerose commissioni a concorsi di stato; componente della com missione nazionale per lo studio, il restauro e la conservazione degli affreschi dei secoli XIV e XV del Camposanto Monumentale di Pisa; presidente della commissione per la tutela delle Bellezze Naturali e dell'Ambiente presso la Soprintendenza ai Monumenti di Pisa (1960); deputato per oltre un trentennio dell'Opera del Duomo di Pisa e membro della commissione edilizia e urbanistica del Comune di Pisa.
Ha svolto intensa attività di critico d'arte. Nel 1946 ha fondato e diretto la rivista "Paesaggio" che contribuì alla ricostruzione culturale della Città di Pisa devastata dalla guerra. Era stato nel 1941-1943 redattore capo de "Il Campano", vivace e certo non omologata rivista del G.U.F. pisano. Ha collaborato a periodici e giornali quotidiani con saggi riguardanti le arti, con particolare riferimento ad artisti della nuova generazione (Gruppo di Corrente e Scuola Romana). Suoi articoli, saggi e disegni sono apparsi nelle riviste "Primato", "Documento", "Prospettive" (direttore Curzio Malaparte), "La Lettura" (direttore Guido Piovene), "Lo Stile" (direttore Gio' Ponti), "Esperienza Artigiana" (direttore Giovanni Michelucci) e altre. Ha pubblicato saggi su Bartolini, Cantatore, Consortini, De Pisis, De With, Guttuso, Lotti, Martini, Mirko, Orzalesi, Pulcinelli, Sassu, Sestini, Tolaini, Tornea, Viani, Villon e altri. Da segnalare i seguenti volumi: Arturo Checchi pittore (1964), Madre col figlio nella scultura pisana dei secoli XIV e XV (1969), Pittura di Antonella Cappuccio (1981), Il segno e l'immagine nell'arte di Lorenzo Viani (1981), La grafica dei Lasinio nel Museo dell'Opera del Duomo (1986). Inedita è la monografia Lodovico Pogliaghi scultore, mentre è uscita postuma la monografia Pierino da Vinci. Profilo interpretativo (2000).
Oltre che in prestigiose collezioni private, le opere di Mino Rosi sono in Musei e Gallerie pubbliche, tra cui: Galleria d'Arte Moderna, Roma; Galleria d'Arte Moderna, Firenze; Museo Civico, Torino; Galleria d'Arte Moderna, Cortina d'Ampezzo; Ministero della Pubblica Istruzione, Roma; Libreria del Parlamento, Washington; Galleria dell'Accademia di Belle Arti, Venezia; Museo Internazionale d'Arte Moderna, Firenze; Museo dell'Opera della Primaziale, Pisa; Fondazione Cassa di Risparmio, Volterra; Centro Studi della Cassa di Risparmio, Pisa; Galleria dell'Accademia delle Arti del Disegno, Firenze; Gabinetto Disegni e Stampe di Villa Pacchiani, Santa Croce sull'Arno; Museo della Ceramica, Montelupo Fiorentino; Museo Fattori, Livorno; Museo delle Generazioni del '900 "G. Bargellini", Pieve di Cento; Museo di Palazzo Reale, Pisa.
In attraverso il Novecento Mino Rosi l'artista e la collezione da Fattori a Morandi
a cura di Nicola Micieli, Pontedera 2011.
Per intendere la “bella e serena vicenda” (Ragghianti, 1985) di Mino Rosi, per capire le ragioni che hanno governato lo svolgersi di un “cammino lento ma sicuro” (la definizione è giovanissimo Testori all’anno 1942 e mai profezia più azzeccata) bisogna partire dal “discorso” anzi dai “discorsi” sull’arte.
Come un artista del Rinascimento, Rosi pensava che l’immagine depositata sulla tela (ma anche nella medaglia e nel mosaico, nella maiolica e nel vetro) è cultura ed è storia. Per legittimare la creazione artistica non bastano l’ispirazione e il talento che pure egli possedeva come pochi altri della sua generazione, né il magistero tecnico, da lui dominano con perfetta sagacia.
Per fare arte bisogna capire il presente e riflettere sul passato, bisogna essere contemporaneamente nella modernità e nella storia. È necessario - per fare arte - essere curiosi di tutto; delle crete volterrane come i paesaggi scozzesi, della storia dell’arte antica come delle più radicali avanguardie,delle forme naturali (una conchiglia, una roccia, un tronco contorto lasciato dalla risacca sulla spiaggia) come dei più ed esotici repertori decorativi. Questa era la “filosofia” di Mino Rosi. Ciò spiega le sue relazioni con critici e studiosi di mezzo mondo, spiega la conoscenza minuziosa dei musei d’Italia e d’Europa, spiega la vasta biblioteca e gli interessi collezionistici esigenti e squisiti. Devo confessare che i “discorsi sull’arte” più appassionati e più disinteressati della mia carriera (da Goya a Rauschemberg passando per gli adorati Turner e Corot e allungo discutendo di Arturo Martini e di De Pisis, di Soffici e di Bartolini, di Rosai e di Guttuso) li ho avuti con Mino Rosi, nella sua bella casa-studio di Torre del Lago, certe indimenticabili estati di anni ormai lontani.
In quelle occasioni solo da ultimo, con l’amabile discrezione e con la modestia che lo distinguevano, Rosi mi parlava della sua arte e mi faceva vedere le sue cose. Sono state per me esperienze straordinariamente belle. Contemplando i pastelli, gli olii, i disegni dei taccuini di viaggio che fissavano le immagini di Volterra e di Sovana, di Salisbury e di Stonehenge, ho capito cosa vuol dire rimanere aderenti alla figura dei luoghi e al tempo stesso trasfigurarli in struggente tenerezza e in trasognanti abbandoni.
Per Mino Rosi il mondo visibile era, come scrivere Pier Carlo Santini, “espressione dell’anima, forma della fantasia”. Era anche - aggiungo io - elegia della storia, consapevolezza colta e profondamente toscana dell’ordine intellettuale che è sostanza irrinunciabile di tutte le cose.
In “Mino Rosi Un protagonista del’900 Dipinti, disegni pastelli”
a cura di Nicola Micieli, Pontedera 2001.